La risposta è stata offerta dalla prof.ssa Mangione nel corso di una
conferenza presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Venerdì 27
novembre, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di
Roma, si è svolto il seminario a porte aperte“Introduzione alla
Neuroestetica” del GdN (Gruppo di Neurobioetica) che ho l’onore
di coordinare da alcuni anni a questa parte.
La tematica
che il GdN sta affrontando in questo suo nono anno di lavoro accademico
all’interno dell’Istituto di Scienza e Fede e della Cattedra UNESCO in Bioetica
e Diritti Umani di Roma, è proprio quello dell’approccio interdisciplinare alla
percezione e al senso artistico. Ad introdurre questa tematica emergente è
stata la prof.ssa Maria Addolorata Mangione, medico chirurgo, specializzato in
geriatria e gerontologia, dottore in Bioetica che da anni si vede impegnata
nell’approfondire le questioni etiche relative all’applicazione all’essere
umano delle moderne neuroscienze e neurotecnologie.
Dopo aver
tratteggiato brevemente i rapporti tra arte e scienza, la prof.ssa è passata ad
illustrare le ricerche compiute sulla corteccia visiva da Semir Zeki, il
neuroscienziato che ha coniato il neologismo “neuroestetica”, soffermandosi in
particolare sulla scoperta della specializzazione funzionale del cervello
visivo, che ha indotto a considerare la visione come un processo attivo e
dinamico. Da questo scaturisce il concetto di visione come ricerca fisiologica
dell’essenziale. Le teorie in ambito neuroestetico di S. Zeki rappresentano
quindi una applicazione delle sue ricerche neurobiologiche: secondo il
neuroscienziato britannico la funzione dell’arte consiste nella ricerca di
costanti e va considerata come un’estensione della principale funzione svolta
dal cervello. Secondo Zeki, la bellezza è nel cervello di chi guarda; inoltre
il cervello è un artista e l’artista è un neuroscienziato.
La prof.ssa
Mangione ha quindi proposto una breve analisi critica del pensiero di S. Zeki,
mettendone in luce il riduzionismo metodologico e sostenendo che tale Autore
formula una spiegazione di tipo esclusivamente neurobiologico dei processi
esaminati e degli atti correlati, senza una riflessione approfondita sulla
nozione di causa. Attribuire certe operazioni esclusivamente al cervello
finisce per far perdere di vista la persona che le compie.
Passando
quindi alle teorie di Jean-Pierre Changeux, la docente ha posto in luce che il
neuroscienziato francese, nelle ricerche condotte in un ambito che preferisce
definire di neuroscienza dell’arte, ha approfondito la coscienza come tema
cruciale per spiegare la sintesi cosciente di pensiero e di emozioni che si
realizza quando si contempla un’opera d’arte. La sintesi tra elementi cognitivi
ed emotivi avverrebbe nel cosiddetto “spazio di lavoro cosciente neuronale”,
che viene spiegato dallo studioso francese mediante il “modello di spazio
di lavoro neuronale”, in studi scientifici di grande rilievo. Tuttavia, ha
richiamato la prof.ssa Mangione, non è sufficiente prendere in considerazione
solo un approccio neurobiologico per studiare un fenomeno così complesso come
la coscienza, che riguarda l’essere umano in tutta la sua interezza.
Anche nel
caso delle proposte di Changeux si trascura un approccio integrale, per
assolutizzare il ruolo del cervello: così si lascia cadere l’occasione di una
feconda integrazione con altre discipline, in particolare la riflessione
filosofica. La coscienza perde in questo modo il suo valore ontologico, come ha
indicato la prof.ssa Mangione, che ha ripreso nella propria esposizione alcuni
studi di filosofia della mente compiuti alla luce della dottrina ilemorfica di Aristotele
e di Tommaso d’Aquino.
È stata
quindi la volta di Vilaynur Ramachandran. La prof.ssa Mangione ha indicato che
le teorie neuroestetiche del neuroscienziato indiano si fondano sulla ricerca
di leggi transtoriche e transculturali per l’esperienza artistica; ha quindi
illustrato le dieci leggi universali dell’arte identificate da questo Autore,
che valgono per qualsiasi civiltà e cultura. Ramachandran riconosce agli studi
di neuroestetica un grande valore ed auspica che possano contribuire a colmare il
divario tra cultura scientifica e cultura umanistica, inaugurando un
“novello Rinascimento”. Anche in questo caso, ha affermato Mangione, si rende
evidente il riduzionismo di fondo nella pretesa di fondare dei principi
estetici di natura universale affidandosi a ricerche condotte a livello
neurologico.
È stata
quindi la volta degli studi compiuti sui neuroni specchio e sul ruolo
centrale che essi assumono nell’esperienza estetica. “I neuroni specchio
saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia” (V.
Ramachandran). Come emerge dalle ricerche compiute in particolare da
neuroscienziati italiani come Vittorio Gallese, un elemento cruciale della
risposta estetica consiste nella attivazione di meccanismi funzionali che
comportano una sorta di “simulazione incarnata” di azioni, di emozioni e
di sensazioni corporee; si tratta di meccanismi universali, la cui conoscenza
permette di comprendere meglio le nostre reazioni sia di fronte alle immagini
quotidiane che di fronte alle opere d’arte. Non è mancato un riferimento al
teatro, forma d’arte che si basa sulla relazione particolarmente coinvolgente
che si crea tra attore e spettatore; è stato quindi richiamato il valore della
collaborazione tra teatro, scienze umane e neuroscienze che si è registrata in
tempi recenti.
Dall’esame
degli studi di neuroestetica, sostiene la prof.ssa Mangione, emerge la
necessità di una prospettiva interdisciplinare nell’approfondimento
dell’esperienza estetica. Un obiettivo da non perdere di vista nelle
ricerche future è quindi quello di favorire il dialogo tra discipline diverse,
che certamente permette di evitare le frammentazioni dell’essere umano.
Anche se le
scienze progrediscono in maniera straordinaria nell’acquisizione di nuove
conoscenze e ci possono fornire tanti elementi interessanti per indagare sempre
più da vicino i fenomeni più peculiari dell’esperienza umana, si tratta pur
sempre di un approccio parziale alla verità del reale, che richiede di
essere integrato in un approccio interdisciplinare, per non perdere di vista
l’unità della persona umana. L’essere umano è unitotalità di corpo e spirito:
riconoscere il ruolo dell’anima spirituale nell’informare il corpo è
fondamentale per comprendere la capacità umana di compiere operazioni
intellettuali. Gli aspetti neurobiologici forniscono una spiegazione di ciò che
accade a livello fisico nel nostro organismo, ma le operazioni intellettuali
sono caratterizzate dall’immanenza e dall’immaterialità. Tra l’altro, cogliere
l’apertura alla spiritualità e alla trascendenza che caratterizza l’essere
umano ci permette di sostenere adeguatamente a livello concettuale la nozione
di dignità umana.
Il pensiero
classico, oltre ad offrire gli strumenti per compiere un’analisi metafisica
della persona umana e, di conseguenza, fondare ontologicamente la dignità
umana, può rappresentare una grande risorsa sotto il profilo del rapporto tra i
diversi saperi. La lezione sull’interdisciplinarità che ci viene da Tommaso
d’Aquino è certamente ancora attuale.
Alla domanda
“Siamo davvero di fronte ad un ‘secondo Rinascimento’, in cui arte e scienza
possano collaborare sempre più strettamente?”, la docente risponde con una
provocazione, richiamando l’opportunità di guardare al Medioevo, e in
particolare all’esempio delle Università medievali, in cui la tensione verso
l’unità del sapere si traduceva in un efficace e fecondo dialogo tra le
differenti discipline e in un arricchimento reciproco tra scienze e saperi
diversi, come tra docenti e discenti.
L’interdisciplinarità
rappresenta una scelta metodologica che caratterizza il Gruppo di
Neurobioetica, spiega la prof.ssa Mangione, che si è particolarmente dedicata
all’approfondimento di questo tema nell’ambito delle attività del Gruppo di
Neurobioetica. Inoltre, prosegue la Mangione, l’interdisciplinarità è un
problema antropologico, poiché da un adeguato approccio interdisciplinare
scaturisce tutta la ricchezza della persona umana, che non è soltanto biologia,
o neurobiologia, ma ha altre dimensioni che meritano di essere riconosciute ed indagate.
Quindi, se
gli studi attuali di neuroestetica rappresentano un campo estremamente
affascinante, tuttavia non bisogna trascurare le discipline umanistiche,
in particolare il confronto con una riflessione antropologica, la quale
permette di evitare le semplificazioni e le banalizzazioni, che comportano un
rischio di riduzionismo. In questo modo si potrà apprezzare e conoscere
adeguatamente la verità sull’uomo.
La tematica
della neuroestetica continuerà a venir approfondita in quest’anno 2015-2016 dai
membri del GdN. Il prossimo seminario a porte aperte dell’11 dicembre, infatti,
intitolato l’“Esperienza immaginativa e neuroestetica”,vuol essere una
continuazione a quest’approfondita introduzione. Ad intervenire saranno il
dott. Alberto Passerini, psichiatra e psicotarapeuta, direttore della S.I.S.P.I. (Scuola di Specializzazione
con la Procedura Immaginativa) e la dott.ssa Manuela De Palma, psicologa e
psicotarapeuta della S.I.S.P.I., che illustreranno una particolare metodologia
psicodinamica che utilizza le opere d’arte in ambito clinico.
Il 10 marzo
2016 a Roma, e sucessivamente in video-conferenza a Milano, raccoglieremo
questa sintesi interdisciplinare sulla neuroestetica in un convegno promosso
dalla prestigiosa DANA Foundation all’interno della Settimana Mondiale del
Cervello (la BAW o Brain Awareness Week 2016).
*
Padre
Alberto Carrara, L.C., è Coordinatore del Gruppo di Neurobioetica (GdN)
dell'Ateneo Regina Apostolorum (Roma)
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